Agostino Bosco/Agostino Bosco an sla leteratura piemontèisa
Agostino Bosco da Poirino (1741-1817)
modifichéIntroduzione
modifichéLa Storia della Letteratura Piemontese, nel suo compiersi, ha seguito un percorso pressoché parallelo alla storia stessa del Piemonte.
La nostra lingua autoctona, che ha origini risalenti al XII secolo, è sempre stata cara ai piemontesi, tanto da trasmettere sulla carta una discreta mole di scritti di vari autori: poeti, prosatori, romanzieri e storici. Inoltre conta di una grande quantità di varianti locali.
L’italiano, lingua ufficiale della capitale imposta anche nei documenti di Stato da Emanuele Filiberto di Savoia con l’editto del 1577, trova difficoltà di diffusione fra i piemontesi divisi fra dialetto e il francese, ancora lingua di Corte. Tuttavia il piemontese, pur godendo di grande oralità, non ha corrispondenza nella produzione letteraria, che non raggiunge un livello qualitativo significativo.
È solo dal Settecento, dopo il trattato di Utrecht (1713) e quindi con la conquista dell’unità politica del Piemonte, che la Letteratura Piemontese acquista una sua configurazione ben definita. Il linguaggio si affina in nuove forme espressive che poeti e scrittori del nuovo corso propongono. Ne elenco alcuni fra i più importanti: Padre Ignazio Isler (1702-1778); Ventura Cartiermetre (1733-1777); Maurizio Pipino, medico alla corte di Torino, importante per essere l’autore della prima codificazione ortografica e grammaticale della lingua piemontese, che va alle stampe in volume nel 1783; poi ancora un medico: Edoardo Ignazio Calvo (1773-1804) poeta e giacobino pentito, autore di una importante, quanto copiosa produzione poetica a sfondo politico antifrancese: “Le favole morali”.
Ma in quel periodo c’è anche il nostro concittadino Agostino Antonio Michele Bosco da Poirino (è il suo nome completo), poeta immeritatamente negletto nato e morto nella sua amata Poirino, dalla quale non si è mai mosso, se non per i suoi studi.
La sua vita, ben vissuta come si desume dai suoi scritti, è spesa per propria volontà nel nativo centro paesano e questa sorta di voluto esilio villereccio, forse è in parte causa dell’atteggiamento di ostentato disinteresse che per oltre un secolo il mondo letterario ha avuto verso di lui.
In pubblicazioni di dialettologia e nelle varie edizioni della “Storia della Letteratura Piemontese”, pur citandolo dicono ben poco del Bosco, ad esclusione di quella del Prof. Camillo Brero, (edizione 1981) che pubblica un certo numero di epigrammi in piemontese del Nostro.
Solo in seguito alcuni studiosi (Padre Gasca Queirazza e il prof. Dario Pasero) compiono un’analisi linguistica più approfondita sui suoi scritti, ma rimangono come chiusi in una branca specialistica, quindi con insufficiente divulgazione.
Intanto un poirinese, l’esegeta prof. Filippo Tamagnone compie lunghe ricerche e studi sulle opere e sull’uomo Agostino Bosco. Dal materiale raccolto, il Tamagnone sintetizza la ricerca in un bel libretto di sole 63 pagine, mandato in stampa nel 1997 col titolo: “Poesia e bizzarria tra settecento e ottocento”, oggi è esaurito, e introvabile.
Ancora nel Marzo del 2004, con intento divulgativo si promosse a Poirino, al teatro Italia, su proposta del sottoscritto, un convegno sul Bosco con la partecipazione del prof. Tamagnone e altri studiosi (tra i quali il prof. emerito Giuliano Gasca Queirazza); il successo fu sorprendente per il folto pubblico insolitamente attento e interessato; tuttavia, con nostro rammarico l’esperimento non ebbe alcun seguito.
Un bel lavoro quello del Tamagnone, che nella sua ricerca illustra ed elenca con meticolosità la copiosa produzione del Bosco.
Essa consta di scritti in italiano, in latino e nel piemontese di Poirino, che è la parte più interessante per l’opposizione che pone fra il piemontese illustre e la variante locale, intatta nel tempo, ma che presenta una complessa semantica. I motivi sono palesi trovandosi Poirino sulla strada per Ceresole e Alba, per cui è legittimo dire “crocevia dalle strade che dal Roero e dall’Astigiano portano a Torino (…) luogo d’incontro dove venivano scambiate le esperienze di diverse zone”.
È da porre in evidenza che una parte cospicua di manoscritti si trova alla Biblioteca Apostolica Vaticana in Roma, nel Fondo donato da Federico Patetta, giurista e bibliofilo piemontese; fondo venuto alla luce attraverso le attente ricerche sul Bosco fatte dal prof. Dario Pasero.
Breve riflessione
modifichéLa lettura di un poeta, intesa quale esplorazione intima dell’uomo, della sua vita, le sue emozioni, i sentimenti, le sensazioni, le ispirazioni che alimentano la sua arte, è un ben difficile compito. Pur tuttavia, nel nostro caso sono convinto che valga la pena tentare di percorrere in punta di piedi i percorsi del Bosco, cercando di far rivivere l’uomo e comprendere il suo tempo attraverso gli scritti che ci ha lasciato.
Opere che potrebbero benissimo essere inserite in un contesto teatrale fatto a misura.
- Il Bosco nacque in Poirino il 29 settembre 1741 da Giovanni Antonio Bosco e Anna Lucia Barberi; famiglia probabilmente benestante, che godeva di una certa agiatezza, tanto da far studiare il Nostro da avvocato, cosa piuttosto rara per quel tempo. Iniziò gli studi ecclesiastici (mai conclusi), da Padri religiosi in Poirino, con don Deabbate, don Zappata e don Virano, a Chieri con don Piselli (grammatica superiore 1755-56), col teologo Core (umanità e retorica 1756-57 e 1757-58) e con p. Massa (filosofia 1758-59 e 1759-60), per passare alla fase universitaria a Torino con Revelli (geometria), Prato (logica e metafisica), il noto padre Giambattista Beccaria (fisica), Ferrero (etica), Marchino (sacra scrittura), Trevisani e Ansaldi (dogmatica), Natta (teologia morale), Baudissone (istituzioni canoniche), Bruno (istituzioni civili), Arcasio e Gastaldi e ancora Bruno (codice) e Bono (decretali).
Si laureò in giurisprudenza il 5 luglio 1773, consentendogli il titolo “iuris utriusque doctor” ma, a quanto pare senza mai esercitare la professione. Le sue preferenze si orientarono verso gli autori classici e alla letteratura, com’egli stesso confessa con ironia nelle “Rime piemontesi”:
Me pare m’mantnìa a scòla, e ‘n pension,
Pr studié ‘n tòlogìa, e feme prejve:
E mi studiava Nason e Maron,
Catùl, Tibùl e Orassi ch’mostra a bejve.
Da alcuni suoi versi sembra di capire che iniziò a poetare a vent’anni: “Ecco del sessantun la prima volta / ch’io mett’inchiostro in questo calamaio” probabilmente riferendosi al 1761.
Fu amico del barone ed erudito albese Giuseppe Vernazza col quale intrattenne un lungo e proficuo rapporto, anche epistolare; tutto pubblicato in volume.
Frequentatore di numerosi circoli culturali, acquisì vari titoli accademici: accademico Costante, detto il Discreto; accademico Irrequieto, detto l’Ameno (a. 1802); accademico Unanime, detto il Misterioso (a. 1807- 1811).
Non è escluso che abbia avuto rapporti a Torino con il medico cuneese Maurizio Pipino, l’estensore della prima “Grammatica Piemontese”, pubblicata nel 1783 e dalla quale il Bosco possa aver attinto nozioni per perfezionare la sua grafia.
L’indizio compare dalle Stanze giocose de “La polenta”, composizione N. 98, in elogio appunto alla polenta:
Più che tutti anco vale; più che aromi,
Che replicar? Più che pan, ciccia e vino:
Giova mirabilmente al mal di stomi
( Per parlar col Medico Pipino)
E fa guarire da tutti i sintomi,
Tutto preso dal suo ardore poetico preferì la vita cheta e concedersi al suo mondo semplice, contadino, senza complicazioni di sorta. Fu consono al suo carattere ironico, gioioso e amante del buon vivere l’ambiente colmo di realtà palpabili e vitali nel quale viveva; esso gli permise di consumare litri d’inchiostro per elargire a piene mani ai concittadini i suoi versi carichi d’ironia e sarcasmo, ma non sempre.
Non si travisi questa semplicità: fu un uomo colto, laureato; studiò il greco, scrisse in latino e molto in italiano, infine diede notevole spazio a versi vergati nella prediletta parlata poirinese.
Non fu mai prete, ma chierico in gioventù e in seguito priore laico in una Confraternita Religiosa (ed ecco chiarito l’equivoco dell’appellativo errato di padre, che molti ancora gli attestano).
Chi fosse lo descrive egli stesso nelle Rime:
Vi ringrazio, messer Domeneddio,
Che chierco fui, Messa non dissi mai;
Fui avvocato e non patrocinai;
Ebbi mogliera, e figli non vid’io
Ebbi capriccj e loro dissi addio;
Ci troviamo di fronte a un poeta dai tratti bizzarri, con una filosofia di vita che rivela un carattere allegro, portato alla satira a volte amara, sarcastica, a volte pungente, scritta in versi giocosi, monotematici.
I suoi scritti, vere immagini in parole, riportano in vita paesaggi umani di quel tempo, notizie preziose su un mondo che altrimenti sarebbe scomparso nell’oblio.
Con questa visione vagamente arcadica compone in italiano: “La Naseide”; 143 pagine di rime giocose sul naso della compaesana Gianninetta, che non doveva essere una Venere, infatti:
Il nasin di Gianninetta
Sarà stato (men o piue)
Di larghezza miglia due,
Di lunghezza una leghetta.
E non sono immuni i nasi di molti valentuomini e di altre donne poirinesi, per le quali egli compone in aggiunta una “Lode al bastone”, lettura invero esilirante, ma dai chiari tratti misogini, rivelatrici di un tipico modello di società imperante a quel tempo:
Basta, baston, or lascia dire a noi:
Sì, per essere buone, e savie, e amabili,
Donne, il baston è quel che fa per voi.
“La polenta” è un lungo elogio (80 pp.) su questa: “Pietanza eccellentissima squisita / Ch’empie la panza e ognun sazia e contenta…”. Persino Adamo ed Eva (che chiama Aqua) sono coinvolti: Ergo vedete, e chiaro v’accorgete / Che se avesser polenta ognor mangiato / Goderebber ancor quella quiete / Adam e Aqua non avrian peccato /…di seguito tira in ballo una quantità di personaggi storici, biblici, mitologici. La chiusa dell’opera è di tipica maniera boschiana:
Ma vivete, vivete età centesima,
Per me spero di vivere immortale
Con lei, s’io campo, e se morir mi tocca,
Dolce è morir con la Polenta in bocca!
Bizzarro? Senza dubbi, ma studiando a fondo il personaggio ci sorprende per una sorta di rifiuto del poeta impegnato, anche nella politica, passione che in quegli anni coinvolge ardentemente poeti e letterati. Tuttavia in qualche modo è coinvolto: nel primo semestre del 1789 è sindaco di Poirino ed è proprio durante il suo mandato che viene installato l’orologio pubblico nuovo “dell’Oriuloaio Martina sul campanil Ferogio” e sull’argomento compone vari versi inneggianti la pace cittadina.
In un suo scritto egli ricorda la fine del mandato come la liberazione da un incubo:
Finì jersera per grazia di Dio;
E che mai più non abbia a cominciare,
Iddio scongiuro con tutto ‘l cuor mio!
Tutto il suo vacuum poetico è volto a un mondo reale che rifiuta l’immaginifico. Il poeta osserva la natura che è intorno a lui e tutto trasforma in poesia, recandogli grande piacere: il ruscello, gli alberi, la vite, l’erba, il cibo, il bere; nei versi a Carlo Valsolio egli rivela a tratti l’aspetto più bello e più vero dell’anima sua:
Amo sentir qui ‘l passere,
E ‘l usignol cantare;
Amo veder sull’arbore
Il fico, e lo gustare.
La visione del mondo che gravita intorno a lui, fatto di cose e persone semplici, stimola il suo carattere allegro, sornione, ispirandolo a riempire pagine e pagine di versi con una frenesia incontenibile. Lo confessa nelle “Rime diverse”: “Gravido, pregno, gonfio / Son d’un milion d’idee / Crepar, scoppiar quà ( Titiro) / O partorir si dee “; e scrive. Nel tomo II di “Capitolesse” il Bosco si diverte in una sequela di odi alla frutta e verdura; inizia con una “Ode alla merenda”, poi in successione agli asparagi, alla zucca, al melone, ai fichi. In una lunga “Ode alla parrucca” coinvolge anche personaggi poirinesi quali Amaretti e Alfazio, quindi chiude:“E per non farvi, Udienza pia, ristucca, / Andate tutti a tagliarvi i capelli, / I vo a torr’aria colla mia parrucca”.
Nel febbraio del 1796 accade un fatto importante nella sua vita: oramai cinquantacinquenne si sposa con Gabriella Silva di Cirié, di quarant’anni, che chiama affettuosamente Briella o Briellin; a lei dedica lunghe poesie appassionate in italiano, altre in piemontese con versi sinceri, amorosi, privi di tratti misogini:
Esser dovreste voi la donna forte,
Che cotanto lontan v’ho ritrovata,
O Briella bramata mia consorte.
Non i monti s’incontran, ma la gente;
Ver’ è ‘l proverbio; e chi cerca trova;
Trovata credo avervi fermamente.
Oh mia fortuna rara, altera, e nova!
E nell’intimità esprime con rara dolcezza l’amore alla sua donna:
Non vedete, ch’ i v’amo? Deh! volgete,
Non vedete vo’ il cor negli occhi miei?
Ah! volete goder vostra quiete:
Chi ve la toglie? Cara, riposate,
Riposerò con voi quando volete.
Nelle “Rime piemontesi”l’incipit è rivelatore dell’uomo: “Fa ben e sta alegher”.
Infatti gli elogi al mangiare e bere non si contano.
È importante porre in evidenza l’opera di Camillo Brero e in particolare il lavoro di Dario Pasero nel riportare alla luce ben duecento epigrammi piemontesi inediti del Bosco, recuperati, come specificato in precedenza, dal Fondo Patetta alla Biblioteca Vaticana.
In queste pagine c’è il meglio dell’espressione dialettale; il Bosco da sfogo al suo estro nella lingua locale a lui cara e che ben conosce. Il lessico scorre fluido, compone con facilità adottando metriche e rime diverse in versi di pregnante ironia; descrive (anche in italiano) scene di vita, luoghi, situazioni “dròle” (strane) e serie, compone sonetti a sfondo morale, odi ed elogi, detti, proverbi, filastrocche, indovinelli, feste, dialoghi a due, incontri conviviali, dediche a compaesani in vita e deceduti, molti epigrammi sono di chiaro intento celebrativo, altri sono diretti contro le continue ingiustizie. Insomma, tutto quanto la penna di un poeta può vergare sui “papé”.Alla moglie dedica ancora versi d’elogio, ma non manca la sottile ironia:
La mia fomna l’é bela, l’é brava,
L’é polida, l’é dvota e modesta;
L’é curusa, l’è adreta, l’è lesta,
Sa fé ‘l pan, sa fé sina e disnè,
Sa fè scuffie, i cotin, e le cote,
Sa cusi, fè caussat, e filè,
Chi l’ha piala l’ha pià soa fortuna,
Chi l’ha nen, ca s’ la vada srchè.
A fronte di un probabile riconoscimento accademico il Nostro reagisce con un certo distacco, sentendosi a disagio nell’abito del poeta impegnato;
Signori Academich tuti, e dsà, e dlà,
Mi j’aringrasio col capel in man,
D’ lor impensata liberalità,
Ca m’ fa un onor, ch’ mi merito mai tan.
Seu nen Ponent Levant cosa diran
(Veuj di la Val, e le Caneuve) ma
S’ veulo così cuj omini ca san,
Bassoma ‘l col disend: benobligà.
In questo epigramma si può riassumere il suo pensiero e lo stile di vita semplice che ambisce, libero di esprimersi come meglio crede e vuole:
Mi nè compro, né vend,
Com l’estro ven, così vad via fasend;
Com i seu, com i peuss e com i veuj,
Ch’a sio fassin-e ‘d bòsch o canaveuj;
Sensa studi, fastudi, e sensa bòria,
né sper biasim, né tem onor e gloria.
E ancora, per chi non l’avesse compreso:
J’epigrami ch’san d’ grech
Fan nen pr ‘l me bech:
A mi che son bonfieul
Basta ca sapio mach’ anpò ‘d nebieul.
La vita del Bosco scorre, invecchia suo malgrado e i tempi non sono felici. A volte il pessimismo lo prende, a fronte di un futuro che prevede ancora guerra e miseria:
Povero infante, a che sei qui venuto?
A veder che si fa su questa terra.
Che vedere ci vuoi? Miseria e guerra;
Va’, che tutto hai veduto.
Ed è proprio la continua guerra che tortura l’animo gioioso del poeta:
Sia maledetto ch’inventò la guerra,
E maledetto chi la guerra fece,
E maledetto a chi la guerra piace,
E maledetto sopra, e sotto terra.
E in occasione della vittoria di Napoleone contro gli austriaci a Marengo (14 giugno 1800), il Nostro non canta alla vittoria, ma alla pace raggiunta: “Canta Marengo / Ma io le tue glorie / Cantar m’astengo.
Il Bosco ne ha ben donde ad essere pessimista; nell’arco della sua vita vede le albe e i tramonti di quattro monarchie savoiarde tutt’altro che pacifiche, seguite dalla dura occupazione francese sul territorio poirinese ridotto in miseria da taglie e imposte.
I Savoia si alternarono sul trono tra incerte alleanze, rapidi voltafaccia e guerre sanguinose. È utile un breve excursus.
- Carlo Emanuele III (1730 – 1773). Fu il re che il 19 luglio 1747, in un epico scontro, guidò alla vittoria 8000 piemontesi contro 20.000 francesi nella sanguinosa battaglia dell’Assietta. Il Bosco aveva appena sei anni. Nel 1773, anno della morte del re Carlo, egli si laurea in giurisprudenza a Chieri.
- Vittorio Amedeo III (1773 – 1796). Sotto il suo regno esplose violenta la Rivoluzione Francese e dopo quattro anni di guerra dovette cedere al Generale Napoleone Buonaparte. Re Vittorio firmò nel 1796 il trattato di pace di Cherasco e nello stesso anno muore.
- È l’anno che il Bosco, a 55 anni, sposa Gabriella Silva di Cirié.
- Carlo Emanuele IV (1796 – 1802). Un re che nel cingere la corona la chiamò “corona di spine” per la terribile eredità che raccolse: l’Italia e l’Europa in guerra contro Napoleone. Il Bosco nel 1802 ha 61 anni e Poirino si trova ancora sotto la dura occupazione francese.
- Vittorio Emanuele I (1802 – 1821). Quando diviene re di Sardegna il Piemonte è ancora occupato dai francesi e il Bosco supera i settant’anni.
- Un libretto originale e interessante è “Ecloga Macheronica”, dedicato al gioco del tavolazzo, una sorta di tiro a segno con l’archibugio relativo all’edizione 1807. L’originalità è nel linguaggio maccheronico adottato dal Bosco; un misto di latino, italiano e piemontese.
Un esempio è la descrizione delle vesti dei personaggi partecipanti:
Bellos vestitos, lusentes, æque pulitos,
Cappellos bellos scufiasque, plumasque, plumellos…
Interessante è l’elencazione quasi anagrafica di famiglie poirinesi dell’epoca in corteo: l’abbà Medicus Boscus, il vice Guglielmantoni Masuccus, il maire Santi, i Burtio, Zaveri, Arpinus, Lisa, Oliveri, Amoretti, Brossa, Barberis, Appendinos, Maroccos, Taccos, Spinelli, Fabari, Boassi, Gioda…
Nel 1814 il Bosco ha 73 anni e assiste ancora all’abdicazione di Napoleone, ma anche se i malanni lo perseguitano non vuole cedere alla paura della morte e insiste nel gioco della vita confessando in versi ancora ironici:
Manco l’ fòrse, l’ umor crass,
E morì a m’arrincrass.
Il Bosco muore l’11 febbraio 1817 assistito fino all’ultimo dalla moglie Gabriella. Credo non sia corretto dire che “passa a miglior vita”, in quanto c’è qualche dubbio nel credere che pensasse “l’altra vita” migliore di quella sua terrena, d'altronde lo ammette lui stesso, quasi come un atto di sfida, nei versi riportati poc’anzi.
Mi pare opportuno concludere questo breve viaggio con parole sue scritte dieci anni prima della dipartita nella chiusa dell’Ecloga Macheronica e che sono l’epicedio che più gli si addice:
Claudantur valvæ, discedo…salve.
( Si chiudono i battenti, me ne vado…saluti )
Alcuni accenni sul piemontese di Poirino
modifiché(Tratto da un articolo del prof. Padre Gasca Queirazza su “VII Rëscontr antërnassional dë studi an sla lenga e la Literatura Piemontèisa” –
«L’esame linguistico intende individuare i tratti salienti, indicandone al caso la costanza, l’alternativa o la sporadicità.
Per quanto riguarda la fonetica, nel vocalismo si constata l’apertura della e tonica in a, non soltanto nella terminazione diminutivale – at da – ITT- come in bocat, cicat, caussat, mortrat, singolari e plurali, che è abbastanza diffusa, ma anche in radicali, armat “rimetto”, crad, “credo”, e in altre situazioni, chial, paraj, aggettivo e avverbio. (…) Frequentissima è l’omissione del segno vocalico per la e di ridotta articolazione, soprattutto dinanzi a r e s, non soltanto in sede atona, vrità, Brnardin, crdensa, srvendse, prchè, dsmentia, tstament, strene, che è da decifrare sotterrarci, ma anche quando è tonica, crdme, “credimi”, arvdse,“arrivederci”.
Per le consonanti si devono notare i rotacismi, ossia i cambi di L in r, morin “mulino”, carié “calzolaio”, taure, tavorin, tavorà, tavole e derivati, rondora “rondine”, vora “vola”, scorà “scolata”; altri si troveranno nelle forme degli articoli e dei pronomi. (…)».
Lo stesso Maurizio Pipino nel suo Vocabolario Piemontese asserisce di avere osservato tre modi di parlare il nostro dialetto: il Cortigiano che usasi a Corte; il Volgare che usasi dai Cittadini; il Plebeo che usasi dal popolo minuto.
I primi dicono: sofièt, taborèt, bufèt, mentre gli altri pronunciano: sofiàt, taboràt, bufàt, che è simile a quello che lo stesso Pipino definisce Piemontese rustico, parlato da altri abitanti del contado (nel quale Poirino rientra).OPERE DI AGOSTINO BOSCO ( Dalla ricerca del prof. F. Tamagnone) –
Opere
modifichéPoesie giocose in italiano
modifiché- Rime diverse, Carmagnola, Barbiè, 1799, pp. 159.
- Capitolesse, Carmagnola, Barbiè, 1800, pp. 111.
- La naseide. Rime giocose, Carmagnola, Barbiè s. d. pp. 143.
- La polenta. Stanze giocose, Carmagnola, Barbiè, 1801 pp.80.
- Versi di Agostino Bosco a Carlo Valsolio di Villanova, Carm. Barbiè, 1801 pp. 50.
- Lettere in versi in risposta al medico Provigna, pubblicate con le lettere dello stesso Provigna Al cittadino Agostino Bosco, Carmagnola, Barbiè, 1801, pp. 6.
- Nelle nozze de’ cittadini Francesco Piazzi ed Anna Lucia Modesta Bosco Poirinesi,
- Carmagnola, Barbiè, 1801 pp. 7.
- Capitolesse, Tomo II, Carmagnola, Barbiè, 1802, pag. 112.
- Rime diverse, tomo II, Carmagnola, Barbiè 1803, pag. 184.
COMPOSIZIONI RELIGIOSE IN ITALIANO
modifiché- La novena del Santo Natale messa in verso italiano, Carmagnola, Barbiè, 1799 pp. 35.
- Rime Sacre, Carmagnola, Barbiè, 1800, pp. 93.
- La passione del Signore Nostro Gesù Cristo secondo San Giovanni. Improperi ed inni. Volgarizzamenti, Carmagnola, Barbiè, 1801, pp. 21.
- I quindici misteri del Santo Rosario in quindici stanzine, Carmagnola, Barbiè, 1801, pp. 6.
- Evangeli di Quaresima. Volgarizzamenti in versi sciolti, Carmagnola, Barbiè, 1802, pp. 90.
- Ad onore di Santa Cecilia vergine e martire. Accademia poetica per musica, Carmagnola, Barbiè, 1803, pp. 16.
- Inno, Sequenza e Prefazio propri di S. Agostino Vescovo e Dottore di Santa Chiesa;
- volgarizzamento di Agostino Bosco di Poirino al Sacerdote Giuseppe Nicola Burzio,
- poirinese già maestro de’ novizi nel convento agostiniano della Comune di Carmagnola, Carmagnola, Barbiè, 1803, pp. 15.
- Rime sacre, Tomo II, Carmagnola, Barbiè, 1803, pp. 138.
- Trenodie Sacre. Volgarizzamento, Carmagnola, Barbiè, 1803, pp. 22.
- Parabole evangeliche, Carmagnola, Barbiè, 1809, pp. 40.
- Per Santi protettori d’arti e professioni, Carmagnola, Barbiè, 1810, pp. 32.
RIME PIEMONTESI
modifiché- Rime piemontesi, Carmagnola, Barbiè, 1801, pp. 168.
- Rime piemontesi, Tomo II, Carmagnola, Barbiè, 1807, pp. 144.
EPIGRAMMI PIEMONTESI E ITALIANI
modifiché- Due “Centurie” di epigrammi italiani sono inedite. Si trovano manoscritti in un quadernetto in cui si alternano con quelle piemontesi e che è chiuso con due “sermoni”, Delle cause del poco frutto dell’evangelica predicazione.
- Le due “Centurie” di epigrammi piemontesi, lasciate inedite dall’autore, sono state pubblicate integralmente, per la cura di Dario Pasero, in “La slòira. Arvista piemontèisa”.
- Quattordici epigrammi, Passando il papa a Borduaglio, seguono altre Gaità di cuore”
- Sono pubblicati, tratti direttamente dal manoscritto autografo (Biblioteca Vaticana di Roma, fondo Patetta), per la cura di Dario Pasero, in “La slòira”.
ALTRI TESTI
modifiché- Iscrizioni fatte per la confraternita della Santissima Annunziata di Poirino l’anno 1784 che fu il suo terzo cinquantennio, Carmagnola, Barbiè, 1803, pp.8.
- In morte del Rev. Padre Maestro Giovanni Alberto Tommaso Garigliani poirinese dell’ordine eremitano d S. Agostino (…) Elegie tre (e appendice d’ altre iscrizioni).
- Carmagnola, Barbiè, s. d. (ma almeno 1804) pp. 16.
- Per la laurea in medicina riportata nella Università di Torino l’anno 1804 dal Signor Agostino Bosco del fu medico Giambattista di Poirino. Sonetti dell’Avv. Agostino Bosco zio del Dottore, Carmagnola, dalla Stamperia di Pietro Barbiè, pp.4.
- Augustini Boschi De Podio Varino Ecloga Macheronica pro Partita Juventutis, Anno
- MDCCCVII, Ludis Tavolazesensibus, Carmaniolae, Stampis Petri Barbiè, pp.16.
- Iscrizioni poirinesi, Carmagnola, Barbiè, 1808, pp. 16.
- Su varie opere di bell’arti in Poirino, Carmagnola, Barbiè, 1809, pp. 20.
- Appendice ai versi su varie opere di bell’arti in Poirino, Carmagnola, Barbiè, s.d. (ma almeno 1813), pp. 6.
- Altra appendice ai versi su varie opere di bell’arti in Poirino, Carmagnola, Barbiè, s.d. (forse 1814), pp. 6.
- Lettere di Agostino Bosco a Giuseppe Vernazza, del 1804, su argomenti di storia culturale poirinese, sono custodite, manoscritte, presso la Biblioteca Reale di Torino (Misc. Vern. XIII).
- Manoscritti autografi di Agostino Bosco, insieme a notizie su di lui, sono presso la Biblioteca Vaticana, fondo Patetta, sess. autografi, cart. 117, ff. 207-318.
Carlo Ellena